Oct 1, 2021 | Staff
Produrlo consuma troppa energia? Non è vero: è una delle industrie più rispettose dell'ambiente e più attente alle fonti rinnovabili. Sostenitori e critici della criptovaluta si danno battaglia da tempo a colpi di dati. Chi ha ragione? E, soprattutto, in futuro sarà possibile una moneta digitale completamente green?
Eugenio Spagnuolo intervista Ferdinando M. Ametrano in un articolo per Wired Italy.
Uno spettro minaccia il futuro del bitcoin: la tutela dell’ambiente. Istituzioni e governi lo agitano sempre più spesso e, in un’epoca in cui sostenibilità è la parola chiave di tutto, potrebbe trasformarsi in una condanna. Lo scorso febbraio, il segretario al Tesoro Usa Janet Yellen ha avvertito che la moneta digitale è «estremamente inefficiente» per effettuare transazioni e utilizza una quantità «sbalorditiva» di energia.
A marzo, la regione cinese della Mongolia interna ha dichiarato che avrebbe vietato le operazioni di estrazione di criptovaluta proprio perché preoccupata dal consumo di energia che richiedono. E se non bastasse ci s’è messo anche Elon Musk, considerevole fan della prima ora, che in un tweet del 12 maggio ha sottolineato preoccupazioni per «l’uso in rapida crescita di combustibili fossili per l’estrazione di bitcoin», provocando incidentalmente un crollo di quotazione da 49mila a 36mila euro in una settimana. Dall’altro lato della barricata, gli investitori hanno tentato di respingere la narrazione che il bitcoin sia dannoso per l’ambiente, spiegando che già oggi i miner (cioè coloro che coniano le criptovalute, ndr) sono incentivati a utilizzare le energie rinnovabili, dato che sta diventando più economico produrle. Ma come stanno davvero le cose? Il bitcoin è un’idrovora energetica oppure è vittima di cattiva fama? I suoi consumi sono giustificati? E, soprattutto, un bitcoin verde è possibile?
QUANTO CONSUMA
I critici danno da tempo battaglia al bitcoin per il suo impatto sull’ambiente. Secondo il Cambridge bitcoin electricity consumption index (Cbeci), se fosse un paese si classificherebbe tra i primi 30 al mondo per consumo energetico, con un totale di 69 Terawattora. Più dell’austria o della Colombia, per fare due nomi. Una cifra monstre, soprattutto se letta fuori contesto. «In realtà, come riporta il Cambridge Center for alternative finance, gli elettrodomestici in standby nei soli Stati Uniti consumano tre volte di più della rete bitcoin», commenta Ferdinando Ametrano, docente di Bitcoin e blockchain technology all’università Bicocca di Milano. «I consumi energetici di bitcoin sono lo 0,55% della produzione globale di energia elettrica: significativi ma non sproporzionati, anche perché non sono uno spreco, bensì essenziali per la sicurezza della rete». A confermarlo sarebbe lo stesso Cbeci, quando precisa che l’estrazione di oro consuma 131 TWH all’anno, circa il doppio di quanto richiede il mining di bitcoin. E poi c’è energia e energia: secondo i suoi sostenitori, seppure i bitcoin divorino elettricità, questa proviene sempre di più da fonti rinnovabili. «È vero, verissimo, che l’algoritmo in sé sia energy intensive. Ma è altrettanto vero che la community che mantiene l’infrastruttura tecnica si sia mossa molto velocemente per spostare i computer in contesti alimentati da fonti rinnovabili», spiega Demetrio Migliorati, Head of innovation di Banca Mediolanum, una delle banche più attive nelle sperimentazioni sulla blockchain. «Un recente rapporto del Bitcoin Mining Council sulla struttura della fonte di alimentazione della rete mostra che il mix di elettricità su fonti rinnovabili è aumentato significativamente nel mining, arrivando al 56% nel secondo trimestre del 2021 e rendendo di fatto il bitcoin una delle industrie più pulite al mondo».
A favore della blockchain e delle criptovalute in quanto vettori di “sviluppo sostenibile”, si schierano a sorpresa anche le Nazioni Unite, che in un report pubblicato a maggio scrivono: «Nonostante questi problemi, gli esperti delle Nazioni Unite ritengono che le criptovalute e la tecnologia che le alimenta (blockchain) possano svolgere un ruolo importante nello sviluppo sostenibile e migliorare effettivamente la nostra gestione dell’ambiente. Uno degli aspetti più utili delle criptovalute, per quanto riguarda l’onu, è la trasparenza. Poiché la tecnologia è resistente alla manomissione e alle frodi, può fornire una registrazione affidabile e trasparente delle transazioni. Ciò è particolarmente importante nelle regioni con istituzioni deboli e alti livelli di corruzione».
IL PROBLEMA DEL MINING
Per capire perché il bitcoin consuma tanto bisogna guardare alla tecnologia sottostante: la blockchain, un registro pubblico decentralizzato che non è controllato da nessuna autorità ma viene costantemente aggiornato da una rete di computer in tutto il mondo. All’inizio dell’avventura del bitcoin bastava un computer domestico ben attrezzato per partecipare alla blockchain e validare le transazioni. Ma a 12 anni dall’invenzione di questa criptovaluta, i cosiddetti miner gestiscono supercomputer progettati per risolvere complessi enigmi matematici. La risoluzione di questi problemi avviene attraverso una vera e propria gara: il miner più veloce certifica la transazione e riceve una ricompensa sotto forma di pagamento in bitcoin. E questo è l’unico modo per coniare nuovi bitcoin. Il meccanismo, che prende il nome di proof of work, garantisce la tenuta del sistema e l’impossibilità di falsificare i bitcoin.
Il problema, secondo alcuni esperti, è che la difficoltà di mining del bitcoin è andata aumentando negli ultimi tre anni, portando con sé una richiesta d’uso d’energia sempre maggiore. In realtà, la questione sarebbe più complessa: «I consumi energetici sono positivamente correlati con il prodotto interno lordo: a livello globale, solo i paesi che consumano “tanto” riescono a soddisfare i bisogni primari dei loro cittadini, quelli che consumano “poco” non ci riescono», commenta il professor Ametrano. «La strada non è quindi consumare meno, ma inquinare meno, cioè produrre energie rinnovabili e sostenibili. Questo è, però, un tema di ordine globale, che non riguarda solo o specialmente le criptovalute».
MENO DISPENDIO È POSSIBILE
«Bitcoin non è uno dei sistemi più energivori e gravosi per il nostro pianeta, ma non può essere sottovalutato il suo impatto», ribatte Gian Luca Comandini, membro della task force blockchain del ministero dello Sviluppo economico. «La buona notizia è che la community di programmatori ed esperti appassionati di blockchain sta lavorando da anni per trovare una soluzione. Già esistono alternative importanti e interi progetti a basso consumo energetico, dobbiamo solo aspettare che il mercato decida quale direzione prendere. Quello che è certo è che nel 2070 staremo ancora utilizzando la tecnologia blockchain e le criptovalute, e lo staremo facendo in maniera sostenibile per il pianeta che ci ospita».
Qualche esempio di iniziative nate per migliorare il profilo energetico del bitcoin e accelerare il passaggio a una blockchain sostenibile? Ad aprile, un gruppo di enti del settore privato – guidati da Energy Web, Alliance for Innovative Regulation e Rmi – ha lanciato il Crypto climate accord (Cca), un’iniziativa ispirata all’accordo sul clima di Parigi che mira a decarbonizzare l’industria delle criptovalute. Con 45 aziende dei settori finanziario, tecnologico, energetico e climatico che sostengono l’intesa, le parti coinvolte mirano a garantire che il 100% del consumo di energia delle criptovalute provenga da fonti rinnovabili entro il 2025. C’è poi la Bitcoin Clean Energy Investment Initiative, lanciata da Square – azienda cofondata dal ceo di Twitter Jack Dorsey – per supportare le aziende che promuovono l’adozione e l’efficienza delle energie rinnovabili all’interno dell’ecosistema bitcoin. Square ha impegnato 10 milioni nello sforzo. «Riteniamo che la criptovaluta alla fine sarà alimentata completamente da energia pulita, eliminando la sua impronta di carbonio e guidando l’adozione delle energie rinnovabili a livello globale», ha affermato lo stesso Dorsey. «Le stime pubblicate indicano che il bitcoin consuma già una quantità significativa di energia pulita e speriamo che l’iniziativa di investimento di Square acceleri questa conversione all’energia rinnovabile». Un’operazione lodevole, quest’ultima, anche secondo Migliorati, che precisa: «Devo però sottolineare che l’evidenziazione dei consumi delle reti blockchain fa parte di una costante narrazione “negativa” che fa leva sulla poca conoscenza delle modalità di
In El Salvador, il presidente Nayib Bukele ha incaricato la società elettrica geotermica statale di sviluppare un piano per offrire strutture di estrazione di bitcoin utilizzando l’energia dei vulcani produzione e mantenimento delle reti da parte del grande pubblico. Sarebbe interessante vedere una pressione analoga verso la diminuzione di consumi nei confronti di altre industrie».
LA SCELTA DI ETHEREUM
A porsi il problema dei consumi energetici è anche Ethereum, la seconda criptovaluta per capitalizzazione di mercato dopo bitcoin, nonché la piattaforma principale per Defi (finanza decentralizzata) e Nft (token non fungibili), due tecnologie che stanno riscontrando grande interesse presso gli investitori. Ethereum si basa su un sistema di proof of work simile al bitcoin, ma ha iniziato una transizione verso un sistema proof of stake, che ne ridurrà drasticamente l’impatto energetico. Secondo la Ethereum Foundation, l’aggiornamento potrebbe ridurre il consumo energetico della blockchain di Ethereum del 99,95%, con il potenziale per far funzionare l’intero sistema con circa 2,6 megawatt di energia. La transizione dovrebbe avvenire entro la fine del 2021. La differenza tra i due metodi è che nel proof of stake il procedimento attraverso il quale i supercomputer competono tra loro per risolvere problemi matematici, cioè il mining, è sostituito da un sistema in cui i validatori garantiscono le operazioni impegnando una quota delle proprie criptovalute come una sorta di deposito cauzionale. A oggi alcuni token presenti nell’ecosistema Defi hanno già adottato il proof of stake. Tra questi ci sono Cardano e Algorand che, come rivela Comandini, «può contare su centinaia di milioni di finanziamento».
LA SVOLTA DEI VULCANI
In realtà, che bitcoin possa adottare lo stesso sistema proof of stake di Ethereum sembra a oggi improbabile. Più facile che continui a usare il proof of work ricorrendo a energie rinnovabili, come potrebbe avvenire per esempio in El Salvador, dove il presidente Nayib Bukele qualche mese fa ha incaricato la società elettrica geotermica statale di sviluppare un piano per offrire strutture di estrazione di bitcoin utilizzando l’energia dei vulcani. El Salvador ha un interesse preciso nel farlo: è diventato il primo paese al mondo ad adottare bitcoin come moneta a corso legale dopo che il Congresso ha approvato la proposta di Bukele di abbracciare la criptovaluta. «I nostri ingegneri mi hanno informato che hanno scavato un nuovo pozzo, che fornirà circa 95 megawatt di energia geotermica pulita al 100% a zero emissioni dai nostri vulcani», ha gongolato Bukele. «Ora, lì, progetteremo un hub di mining bitcoin completo».
CI PENSA LA NEXT GENERATION
Vulcani a parte, chi spinge verso il ricorso a energie sostenibili o a nuove tecnologie lo fa per svariati motivi: il più urgente è la paura che l’estrazione di bitcoin venga bandita in alcuni paesi per ridurre le emissioni di CO . O che da qualche parte prima o poi spunti fuori una tassa sul mining, che provocherebbe un ulteriore scossone sui mercati. Poi, c’è la minaccia di Ethereum. Ma soprattutto c’è il rischio che il bitcoin, nato come alternativa alla finanza tradizionale, e per questo apprezzato dai giovani, possa perdere appeal proprio sul suo pubblico d’elezione, dove oggi la questione ambientale è molto sentita. «Se le community che gestiscono il mining non indirizzassero con tempestività il problema verso una soluzione basata sulle rinnovabili (cosa che però sta accadendo), ci potrebbe essere un importante calo di popolarità di queste soluzioni tra le fasce di popolazione più sensibili ai temi della sostenibilità; penso alle Generazioni Z e Alpha», ammette Migliorati. «Per adesso, visti i primi riscontri, il rischio che questo avvenga credo sia modesto». Modesto o meno, meglio comunque correre ai ripari. Al momento di scrivere questo articolo, il bitcoin aveva una capitalizzazione di 500 miliardi di dollari. Secondo l’emittente Cnbc, il tweet di Elon Musk ha causato un crollo dei mercati delle criptovalute di 365 miliardi di dollari. Cifre che da sole spiegano perché lasciare insoluta una questione come quella energetica potrebbe non essere una buona idea.