May 14, 2021 | Staff
Non possiamo consumare meno, dobbiamo consumare meglio, producendo più energie rinnovabili. Ferdinando Ametrano per We Wealth
E’ uno degli argomenti più di frequente usati contro Bitcoin, riportato alla ribalta in questi giorni da Elon Musk. Da un lato, è vero che il consumo attuale per l’estrazione sia elevato (149 TWH, lo 0,60%, più o meno quanto Malesia e Svezia). D’altro canto, però, bisogna sottolineare che la tendenza dei miner sia quella di andare a sfruttare, per ragioni economiche, energia alternativa sottoutilizzata.
Bitcoin e il suo impatto ambientale è l’argomento affrontato da Laura Magna nell’articolo “Bitcoin è davvero l’industria più energivora (e inquinante) del pianeta?” pubblicato oggi su We Wealth.
Nell’articolo il direttore scientifico dell’Istituto Ferdinando M. Ametrano esprime la view DGI sul tema:
“L’attività di mining è portata avanti da agenti economicamente razionali e dunque tende a collocarsi in aree dove le riserve di energia rinnovabile sono ampie. Le maggiori farm di mining sono nei pressi dei bacini idroelettrici cinesi e canadesi o sfruttano il solare texano. Allora, da un lato emerge che Bitcoin consuma, “ma non in maniera sproporzionata rispetto ad altre attività industriali come la produzione di banconote e monete o come l’estrazione auriferia, dall’altro che può approvvigionarsi presso fonti sottoutilizzate, come per esempio il potenziale idroelettrico non sfruttato in Cina ogni anno. La morale è che dobbiamo imparare a produrre energia in maniera pulita e non limitarne astrattamente i consumi. Al contrario essendo questi ultimi correlati positivamente con il PIL, vanno incentivati. L’evidenza è che non si può consumare di meno o per lo meno non è ragionevole perché impoverisce un’economia, e quindi bisogna consumare meglio, producendo più energie rinnovabili.”