Apr 26, 2021 | Staff
La view di F.M.Ametrano su Adnkronos
Consumano più elettricità dell’Argentina o sono il massimo del green? Verità e mito attorno alla produzione delle criptovalute.
Un’anima green per le criptovalute? “Non credo sia realizzabile. Da due punti di vista. Possiamo ridurre i consumi? No. I consumi sono correlati alla crescita del Pil. Più ricchezza uguale più energia. Non possiamo ridurne l’impiego. Dobbiamo trovare modi di produrla che siano rinnovabili e sostenibili. La preoccupazioni vanno spostate dalla riduzione dei consumi alla sostenibilità nella produzione di energia. E questo può rappresentare un problema per bitcoin? No. A ognuno il suo. C’è da auspicarsi che se ne consumi sempre più di energia perché vorrà dire che staremo crescendo ma sarà compito di altri fare sì che questa energia diventi sempre più efficiente e sostenibile”. Ferdinando Ametrano per Adnkronos
Green o succhia energia? Da che parte stanno davvero i bitcoin
Da una parte ci stanno loro. Gli apocalittici delle criptovalute. Coloro che ne evidenziano, appena possibile, tutti i gli aspetti potenzialmente negativi. A partire dal più discusso e sensibile: il consumo di energia. La quantità di operazioni per generare ed estrarre bitcoin richiede l’uso di computer potenti che consumano ed emettono 36 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno, secondo i dati dell’International Energy Agency.
Il Global Cryptoasset Benchmarking Study dell’Università di Cambridge evidenzia, invece, come la rete bitcoin consumi 121 TWh l’anno: se fosse una nazione sarebbe tra le 30 al mondo con i consumi più alti. Anche l’artista Memo Atken si è concentrato sul consumo energetico per la produzione di questi token: “C’è una discussione molto ampia sull’impatto ecologico della blockchain in generale (ad esempio per Bitcoin ed Ethereum). Ma questa discussione è fortemente polarizzata tra i pro-cripto che credono che l’estrazione delle cryptovalute sia per lo più green contro chi ritiene che siano uno spreco di risorse. Spero che il mio ragionamento sviluppi una conversazione produttiva”. In sostanza, la sua ricerca verte sulla possibilità che i processi di creazione di criptovalute, correlati alla capacità di calcolo di migliaia di computer, necessitino di un consumo di energia molto grande con conseguenti emissioni di Co2. Atken stima che una singola transazione in Ethereum (ETH) abbia un’impronta media di 27,7 kg di Co2 paragonabile al consumo elettrico di una casa in due giorni. Il processo per convalidare un NFT (Non Fungible Token) consuma ancora di più: la sua stima per un singolo NFT è di 211 kg di Co2, ovvero quanto un viaggio in macchina di mille chilometri o un volo aereo di due ore. Per implementare ulteriormente l’ascesa del bitcoin, c’è chi è pronto a garantire che occorrerà una potenza di calcolo equivalente all’energia consumata in un anno dall’Argentina. E poi c’è anche la questione dei rifiuti elettronici generati dal continuo ricambio di computer sempre più potenti: anche qui il calcolo delinea qualcosa come 11 mila tonnellate all’anno di rifiuti.
Certo i miner di criptovalute, ovvero coloro che le scavano fuori dal web sfruttando la capacità di calcolo dei computer, stanno cercando di spostarsi dove l’elettricità costa meno, il che non coincide sempre con i luoghi in cui si produce più energia da fonti rinnovabili. Anche se in Islanda e Norvegia, paesi in cui la produzione di energia è quasi completamente rinnovabile, numerosi miner hanno trovato sede sfruttando idroelettrico, geotermico e, soprattutto, le basse temperature di queste latitudini per ridurre i costi di raffreddamento dei server. Sempre secondo il Global Cryptoasset Benchmarking Study dell’Università di Cambridge, l’anno scorso il 76% dei miner di criptovalute ha utilizzato elettricità da fonti rinnovabili.
E qui si scollina passando all’altro partito. Quello di coloro che vedono nelle criptovalute l’occasione per una transizione green. In questo senso, i team di Jack Dorsey, creatore di Twitter e di Square e di Cathie Wood di Ark Invest hanno prodotto i risultati di una collaborazione di ricerca che ha come obiettivo proprio quello di dimostrare come l’estrazione di bitcoin incentivi l’uso di energia rinnovabile. Dice la Wood: “Con la convergenza delle tecnologie di mining di criptovalute, di stoccaggio di energia e di AI, è probabile che l’adozione di energie rinnovabili acceleri”. Insomma, le funzioni della rete bitcoin potrebbero agire come un acquirente unico di energia, in grado di garantire che l’estrazione e il commercio di bitcoin si affidino a fonti di energia pulita.
Il punto di equilibrio, forse, è quello espresso da Ferdinando Ametrano, che insegna Bitcoin and Blockchain Technology all’Università degli Studi di Milano-Bicocca ed è CEO di CheckSig: un’anima green per le criptovalute? “Non credo sia realizzabile. Da due punti di vista. Possiamo ridurre i consumi? No. I consumi sono correlati alla crescita del Pil. Più ricchezza uguale più energia. Non possiamo ridurne l’impiego. Dobbiamo trovare modi di produrla che siano rinnovabili e sostenibili. La preoccupazioni vanno spostate dalla riduzione dei consumi alla sostenibilità nella produzione di energia. E questo può rappresentare un problema per bitcoin? No. A ognuno il suo. C’è da auspicarsi che se ne consumi sempre più di energia perché vorrà dire che staremo crescendo ma sarà compito di altri fare sì che questa energia diventi sempre più efficiente e sostenibile”.